Il film si presta ad un approfondimento di carattere epistemologico e morale sul possibile ruolo che pregiudizi, emozioni e la pressione del gruppo di appartenenza possono avere sulla nostra percezione del reale e sul conseguente giudizio etico che ne diamo.
«Considerato come un pilastro della storia del cinema, “La Parola ai Giurati” – Orso d’oro a Berlino nel 1957 – invecchia particolarmente bene. Il ritmo è serrato, gli attori eccellenti, la storia appassionante. Ma soprattutto il regista è un grande maestro nel farci passare da certezze, a dubbi, a nuove certezze.
12 giurati devono decidere sulla colpevolezza di un ragazzo sospettato di aver ucciso il padre. Si ritrovano per alcune ore in una stanza per discutere del verdetto. La posta in gioco è alta: la vita stessa dell’imputato. Sembrano tutti subito d’accordo per la colpevolezza del ragazzo. Di colore, già condannato per reati minori, proveniente da un quartiere difficile: i giurati “bianchi” vogliono fare in fretta, abitati da idee preconcette condite di razzismo. Ma quell’unanimità “facile” è messa in causa da uno dei giurati (un signorile Henry Fonda), che vuol cercare la verità “fino in fondo”. Le storie personali dei giurati si intrecciano allora con quelle dell’accusato e dei testimoni, sgretolando poco a poco tutti i giudizi facili e superficiali»
(M. Ponta, http://cinado.blogspot.com/…/la-parola-ai-giurati-12-angry-…).