Regia di Ridley Scott, con Harrison Ford e Rutger Hauer (da poco scomparso). Blade Runner, tratto dal romanzo Philip K. Dick, “Do Androids Dream of Electric Sheep?” (trad. Il cacciatore di androidi) del 1968, è un film cult degli anni ’80 che invecchia particolarmente bene, o non invecchia affatto.
La pellicola è un capolavoro del cinema, alcune delle sue scene e dei suoi dialoghi sono entrati nell’immaginario collettivo. Ambientato in un futuro distopico, dove l’ingegneria genetica è riuscita a realizzare replicanti (robot) del tutto simili agli umani, da utilizzare a proprio piacere, come forza lavoro o oggetto sessuale.
Tantissime le tematiche filosofiche toccate, che ruotano attorno ai problemi posti dall’intelligenza artificiale: possono le macchine pensare? Hanno coscienza di sé? Possono soffrire? Dovrebbero avere dei diritti?

Soprattutto, però, è l’uomo – e non la macchina – al centro degli interrogativi posti dal film: sono gli stessi esseri umani che nel confronto/scontro con gli androidi tentano di definirsi e affermarsi nella propria specificità. Centrale la scena in cui il cacciatore di replicanti Rick Deckard (Harrison Ford), sottopone Rachel al test di “Voight-Kampff”, liberamente ispirato al test di Turing, ideato dal matematico Alan Turing nel 1950 per poter distinguere una macchina da un essere umano.

Il tema dell’”altro”, insomma, come specchio per ritrovarsi e ri-conoscersi.
Buona visione!