sabato 22 Luglio, 2023

Desideri. Dialoghi filosofici con bambini e ragazzi

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Terza settimana di dialoghi filosofici con bambini e ragazzi dei centri creativi E-state insieme Auser 2023. Divisi per gruppi di età, dall’infanzia, alla scuola secondaria di primo grado, incontro 9 gruppi di bambini e ragazzi nei tre paesi di Bonemerse, Malagnino e Stagno Lombardo (Cremona). In questi racconti, provo a riassumere per punti salienti quanto ci siamo detti.


Dopo esserci chiesti come si fa a imparare qualcosa (prima settimana), e aver riflettuto sul ruolo e la possibile gestione dell’errore nelle nostre vite (seconda settimana), il tema di questa settimana è quello del desiderio.

Tentativo di definizione:

Partiamo dalla domanda apparentemente più semplice e in realtà più difficile: “che cos’è un desiderio?”

Quasi immediatamente e in tutti i gruppi si arriva alla risposta più o meno simile: il desiderio è il volere qualcosa che non si ha.

Si possono desiderare solo cose che non si hanno quindi?

“Forse puoi desiderare anche cose che hai già, ma in una nuova versione o un miglioramento”. “Sì, come un modello nuovo di scarpe.” “O come una migliore versione di quella cosa!”

Provo a indagare oltre: abbiamo detto che desideriamo qualcosa che non abbiamo, è possibile non avere desideri? È possibile essere pienamente contenti e soddisfatti di ciò che si ha o si è? Su questo non tutti concordano: per qualcuno sì, ci possono essere momenti della vita in cui ci si sente perfettamente soddisfatti. Ma la maggior parte pensa che ciò non sia possibile: “per me l’essere umano non smette mai di desiderare qualcosa – mi dice una ragazza – magari cambia tipo di desiderio, ma desidera sempre”.

Qualcuno per spiegare che cosa sia il desiderare fa riferimento a un altro termine: sognare. È la stessa cosa, ci chiediamo. I bambini riflettono, ci pensano su. Un bambino poi interviene: “no, perché il sogno ti capita di notte, non lo decidi, magari non ha nemmeno molto senso e non è qualcosa che vuoi veramente”. “Sì come gli incubi!” gli fa eco un compagno. “Invece il desiderio è qualcosa che sai di volere”.

Mi viene da chiedere se i desideri si scelgano oppure no, siamo liberi di decidere cosa desiderare? Ma questa domanda la lasciamo aperta…

Per una possibile classificazione:

Bambini e ragazzi fanno una lista infinita di desideri, che a seconda delle età, naturalmente, variano. Propongo a tutti un esercizio di classificazione, è un’attività volta a esercitare una specifica abilità cognitiva: la capacità di classificare, di individuare in un insieme di elementi fattori comuni e distinzioni, e di passare, così facendo, dal particolare dei singoli casi al generale degli insiemi.

Passando rapidamente in rassegna i nostri elenchi di desideri arriviamo a chiarire che non si desidera solo di avere, ma anche di fare o di essere qualcosa. Il primo tipo di desideri, l’avere, è quello che più facilmente viene in mente a tutti, anche ai piccolini (desidero un cane, un gioco, il nuovo modello della Play…). Poi viene il fare (desidero andare al mare, desidero giocare a…, desidero andare in giro per il mondo). Infine, ma solo con i più grandi, emerge il terzo tipo di desiderio: il desiderare di essere (desidero essere più bravo/a a …, desidero essere più bella, desidero diventare…).

Chiedo loro se questo ordine corrisponde anche a una diversa intensità di desiderio, ma mi rispondono che dipende, è soggettivo.

Altra distinzione che emerge è quella fra desideri per sé e desideri per altri. Dai nostri elenchi sembra che i più frequenti siano quelli del primo tipo, ma emergono anche desideri per altri, specialmente verso le persone alle quali vogliamo bene: i genitori, un amico.

Qualcuno aggiunge anche dei desideri che chiamiamo per tutti: sono desideri che si rivolgono all’umanità in generale, alla società, non necessariamente alle persone a noi vicine. Forse questi sono i più difficili o rari da provare, ma i ragazzi e le ragazze me ne dicono alcuni:

“io vorrei che tutti i bambini del mondo avessero una famiglia!”, “io vorrei che l’ambiente non fosse così malato”, “la guerra, desidero che non ci sia più la guerra nel mondo”.

Infine, notiamo anche un ulteriore possibile criterio di classificazione dei nostri desideri: alcuni li puoi realizzare da solo o quasi – come imparare ad andare in bici, o migliorare in uno sport –, altri desideri sembrano dipendere dal volere di altri – come l’ottenere un certo regalo o gioco dai genitori. E poi i desideri che abbiamo chiamato per tutti, quelli sono ancora più difficili da realizzare, quelli richiedono un impegno collettivo: “dovremmo tutti metterci d’accordo per farlo!”

Come facciamo a realizzare questi desideri?

“Nel primo caso ti devi impegnare” “Ce la devi mettere tutta e forse riesci”, “come per la buca dell’imparare che abbiamo visto l’altra volta! Spetta a te provare e provare e poi risali la buca!”. [vedi qui]

E per i desideri che dipendono da altri, come facciamo?

“Beh lì – mi dice una bambina – te lo devi meritare”. Chiedo al gruppo di approfondire questo concetto: meritarsi qualcosa, cosa vuol dire?

“Che convinci i tuoi genitori che sei stato bravo”, “che vai bene a scuola”, “che ti comporti bene in generale, anche fuori scuola”. Sarebbe interessante approfondire la questione del merito, ma ci porterebbe lontani.

Continuiamo il nostro ragionamento: e per i desideri più grandi ancora, quelli che richiedono l’impegno di tutti, come possiamo fare? È possibile costringere gli altri ad avere un desiderio? Chiedo.

Con i gruppi dei ragazzi più grandi il tema suscita interesse: la discussione si fa vivace. Tutti si dicono concordi che non è possibile forzare qualcuno a desiderare qualcosa, il desiderio è sempre spontaneo: “se è imposto non è più desiderio” , mi dice una ragazza. “Sì, a volte pensi di desiderare qualcosa, ma poi capisci che non era veramente un tuo desiderio, era qualcosa che volevano gli altri”.

Desideri ed emozioni:

La nostra ricerca insieme ci porta anche a riflettere sulle emozioni che il desiderare smuove in noi.

“Quando realizzi un desiderio ti senti felice!”, “più desideravi qualcosa e più sei contento quando la ottieni!”

I bambini si alternano in racconti entusiasti di ricordi felici: “quella volta che sono riuscito a fare goal!” “Quando mio papà mi ha portato allo stadio, ci tenevo tanto e finalmente siamo andati!”

Ci chiediamo quali desideri ci danno più soddisfazione, se quelli che realizziamo da soli con il nostro sforzo e impegno o quelli che altri hanno realizzano per noi. Sicuramente c’è gratificazione nel sapere di aver ottenuto con il proprio impegno qualcosa – come l’aver imparato a fare qualcosa di difficile – però anche il regalo speciale di qualcuno che ci vuole bene dà enorme soddisfazione. Non giungiamo necessariamente a un accordo.

Domando se è mai capitato loro anche l’opposto, un desiderio che una volta realizzato non ha dato poi troppa soddisfazione. Introduco un termine difficile per i più piccolini, ma che proviamo a spiegarci insieme: delusione. Che cosa significa restare delusi di qualcosa?

“È come la tristezza”. “Ci rimani male”. “È quando ti aspettavi qualcosa ma che quando arriva non è così bella come pensavi”. “A me è successo. Io una volta desideravo tanto un gioco ma quando mi è arrivato non ero poi così contenta”, dice una bambina.

E se un desiderio tarda ad essere realizzato? Di nuovo i bambini e ragazzi parlano di tristezza, fatica, a volte anche rabbia. Con i piccolini emerge la questione della pazienza: “io non sono bravo ad aspettare”, mi dice una bambina di 5 anni, e gli altri la seguono: “neanche io!”, “la mia mamma mi dice sempre che sono impaziente”. “Aspettare è difficile”.

Lo vedo nei loro occhi – ho posto al centro del nostro cerchio una scatola colorata come sollecitazione del nostro laboratorio di pensiero, chiedendo loro “cosa desiderate ci sia dentro?”. Ora, dopo mezz’ora di dialogo la curiosità non si trattiene più, fremono dalla voglia di aprire la scatola!

In un gruppo di adolescenti, a proposito di delusione per desideri non realizzati, una ragazza parla di fallimento. Ci fermiamo su questa parola, proviamo a riflettere sulla differenza tra fallimento e delusione.

“Il fallimento è un sentimento più grave, è peggio della delusione”, suggerisce un ragazzo. Gli altri si dicono d’accordo. Ma perché? Insisto io, cosa cambia? Giungiamo a dirci che si sente di aver fallito quando si ritiene che la colpa del mancato obbiettivo sia nostra, quando ci sentiamo responsabili di quell’insuccesso, e per questo è più difficile da gestire della delusione. I ragazzi sono interessati a questo tema, riconoscono che è facile a volte scivolare dalla delusione per qualcosa che non è andato come si sperava alla colpevolizzazione di sé. Si apre una riflessione sull’importanza di chi ci sta vicino nell’aiutarci a sopportare meglio le delusioni, senza viverle necessariamente come fallimenti.

Desideri mal posti

Sempre con i più grandi tocchiamo anche un altro aspetto del desiderare. Mi aiuto raccontando la storia del Re Mida e chiedo loro se i desideri sono sempre buoni, o ci possono essere desideri che poi si ritorcono contro la stessa persona. Qui i ragazzi si dilungano in esempi di vario tipo:

“ci sono persone che desiderano cose che poi faranno loro male, o sono pericolose”, “chi beve troppo ad esempio, o fa uso di droghe!”, “anche chi non sta bene, è depresso tipo, potrebbe desiderare cose brutte per sé”.

Una ragazza a questo punto interviene:

“però anche senza pensare a cose così gravi, ci possono essere desideri che non ci fanno bene, come quando desideriamo qualcosa per piacere agli altri”.

Qui il gruppo si accende, sono tutti d’accordo con lei. “Sì, cambiare per gli altri è stupido”. “Non serve a niente.” “Per me è bene se uno vuole cambiare, ma lo deve fare per sé, perché è qualcosa che vuole lui o lei, ma non perché è qualcosa che fanno i suoi amici o il suo gruppo”.

Accenniamo così al tema del conformismo e di come sia difficile spesso resistervi. Ritorna anche la questione lasciata aperta all’inizio: è possibile distinguere tra desideri indotti e desideri genuini? Fino a che punto può un desiderio essere libero da condizionamenti sociali? Ma di nuovo, lascio questa domanda a un’altra occasione.

Abbiamo lavorato moltissimo, in tutti i gruppi. Il tema era per loro stimolante.

Tra i moltissimi desideri che bambini dai 3 anni fino ai ragazzi di 13 mi hanno confidato ce n’erano alcuni lisci come sassolini (“vorrei avere una palla”, “vorrei giocare a calcio con il mio amico”), altri vasti come lo spazio (“vorrei la felicità per tutti”, “vorrei un mondo senza guerre”), altri ancora erano profondi più del mare (“vorrei che la mia mamma fosse felice”, “vorrei che i miei genitori andassero d’accordo”, “vorrei che gli amici mi capissero”).

Infine, c’è chi mi ha confidato che ammettere – anche solo su un foglio – il proprio desiderio l’abbia fatto sentire meglio, “perché tenersele dentro certe cose fanno male”. Altri, invece, hanno preferito non dire tutto: “alcuni desideri sono privati”.

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