Prima settimana di dialoghi filosofici con i bambini dei centri ricreativi E-State Insieme Auser 2023 di Bonemerse, Malagnino e Stagno Lombardo. Come primo tema di discussione e ricerca insieme abbiamo proposto un tema “alto”, apparentemente difficile, eppure quotidiano per ogni bambino (e adulto):
Cosa vuol dire imparare? Come impariamo qualcosa? Quando imparare ci viene bene e quando no?
Queste e altre le domande che ci siamo posti con i bambini dell’infanzia (4-6 anni), primaria (6-10), e scuola secondaria di primo grado (11-13).

La scuola è finita. Ma non per questo si smette di imparare. L’estate può essere il momento giusto per fermarsi un attimo e… imparare a imparare!
Cosa vuol dire imparare?
Tutti, anche i bambini della scuola dell’infanzia, riconoscono che imparare ha a che fare con la conquista di qualcosa di “nuovo”, qualcosa che prima non si conosceva o non si sapeva fare.
I più grandi aggiungono altri elementi:
“Imparare è diverso dallo studiare” dice un bambino della primaria. “Sì, è più ampio – dice una compagna – si studia sui libri, mentre si può imparare anche giocando, facendo sport…”. “Si impara sempre! Si impara vivendo!” conclude una bambina, e tutti nel suo gruppo si dicono d’accordo.
Imparare è bello? Chiedo a tutti i gruppi.
“Sì!!!”, rispondono entusiasti i bambini dell’infanzia, che non sembrano avere dubbi al riguardo. Qualche “non sempre” si alza fra i gruppi della primaria e ancora più cauti si mostrano i ragazzi della secondaria. “Dipende all’argomento”, “a volte è molto noioso imparare. Storia, ad esempio, per me lo è”. “Se qualcosa non ti piace è anche più difficile da imparare!” aggiunge qualcuno e tutti annuiscono – su questo i bambini hanno ragione: il divertimento svolge un ruolo chiave nell’apprendimento[1].
“Dipende anche da se quella cosa ti servirà. Se pensi che studiare quell’argomento di storia o di arte non ti servirà a nulla e allora non ti viene proprio voglia di impararlo!”.
Imparare deve essere “utile”?
È un tema che emerge nei gruppi dei ‘grandi’ e che proviamo insieme a problematizzare. I ragazzi e le ragazze della scuola secondaria iniziano a chiedersi se quanto imparano a scuola possa servire loro in futuro, intendendo con “utile” qualcosa che abbia una ricaduta professionale. “A che serve imparare la storia o la poesia?” chiede un ragazzo. Altri lo seguono, ma non tutti sono d’accordo. Interviene un compagno: “beh ma come fai a sapere cosa ti servirà o meno nella vita? Non puoi! È giusto imparare un po’ di tutto”. È d’accordo una compagna: “anche la storia o l’arte posso darti tanto, anche se non ti servono nel tuo lavoro!”. “Magari non farai mai il pittore – interviene un’altra bambina – ma quando vedrai un quadro o un’opera d’arte lo potrai capire. Anche questo è “utile”!”. “E poi – aggiunge un’altra – devi anche aver modo di scoprire cosa ti piace e cosa no. Se non hai l’occasione di provare a imparare cose diverse come fai a capire cosa ti interessa o meno o cosa vorrai fare da grande?”.
Insieme, dopo un vivace confronto, il gruppo giunge a concordare che la cosa migliore è che da piccoli si impari quanto più possibile, sperimentando materie, esperienze, sport diversi, così che ciascuno abbia la capacità di scegliersi cosa continuare a imparare e cosa no.
La buca dell’apprendimento:
Per aiutarci a riflettere su come funziona l’apprendimento, a un certo punto della nostra discussione introduco “la buca dell’apprendimento”, ideata da James A. Nottingham (The Learning Pit), filosofo inglese specializzato nella Philosophy for Children e in pedagogia dell’apprendimento. Secondo la metafora della buca, impariamo significativamente qualcosa, quando percorriamo un percorso di questo tipo.

Fase 1: credo di sapere.
Il modello vale per qualsiasi forma di apprendimento: uno sport, un contenuto, o un’abilità. Inizialmente il compito assegnatomi mi sembra facile: penso di sapere o di poterlo fare. Succede, però, che, messa alla prova, mi rendo conto che le cose non sono poi così semplici, capisco che non sono veramente padrona di quella materia o situazione.
Fase 2: crisi: è più difficile del previsto…
Entro in crisi e alla mia iniziale sicurezza subentra sconforto, o confusione e la consapevolezza che la questione è più complicata del previsto.
Chiedo ai bambini e ragazzi se è mai capitato loro una situazione simile e come si sono sentiti. Queste le risposte di un gruppo di bambini e bambine della primaria:
“Ti senti arrabbiato”. “Stupido”. “Ti senti di aver fallito”. “Ti puoi sentire sola, perché gli altri riescono e tu no, sei lì da sola in fondo alla buca”. “Sei deluso, pensavi fosse facile e hai scoperto che non lo è”.
“A questo punto avete due possibilità”, provo a suggerire. “O ti arrendi, o ci provi”, mi risponde qualcuno. “Arrendersi è più facile, è comodo”. “Però se ti arrendi non saprai mai se avresti potuto farcela”. “Io sono per il provarci, sempre. Al massimo non ci riesci!”. “Se insiti, provi e riprovi, prima o poi riesci!”
Fase 3: la risalita
Risalire la buca non è facile. “Serve tempo e pazienza” mi dice un ragazzo. “Serve forza di volontà, devo voler risalire la buca”, aggiunge una ragazza. “Cos’altro serve?” chiedo. E qui i ragazzi mi stupiscono per la loro consapevolezza: “può servirti aiuto”, “sì l’aiuto dell’insegnante o dei genitori che ti lanciano la scala”, “o anche dei tuoi amici, a volte impari di più da loro”. “Sì, è vero, come in questo momento ad esempio – mi dice un bambino di 7 o 8 anni – “stiamo imparando tra noi, stiamo ragionando su come si fa a imparare!”.
“Per risalire la buca serve avere fiducia in te stesso”, mi dirà in un altro gruppo un ragazzo di 13 anni. “Sì sono d’accordo con lui, se non credi che potrai farcela non ci provi nemmeno!”, “E infatti è per questo che io non sono bravo a scuola! Penso sempre che non sono capace a fare niente…”. “Io quest’anno l’ho pensato, ho pensato di essere stupida, di non farcela – mi dice una ragazza che ha appena terminato il primo anno di scuola secondaria -. Però non mi sono arresa, e ora non lo penso più, ora credo di potercela fare”.
Fase 4: ho capito! / ce l’ho fatta!
Bambini e ragazzi parlano delle loro buone e cattive esperienze di apprendimento. Faccio notare un dettaglio nel disegno. Il punto di arrivo è più in alto di quello di partenza.
“Perché quando impari qualcosa è come se sei cresciuto”, “sei più in alto perché sei felice, soddisfatto di te”. “Per me l’arrivo è più in alto perché chi ha fatto fatica e si è impegnato in qualcosa ha imparato di più, se lo ricorda poi”. Effettivamente, il motto della buca è che se salti la buca, non stai veramente apprendendo.
Bambini e ragazzi si dilungano in aneddoti di loro esperienze, mi raccontano di quella volta che anche loro stavano per arrendersi, ma poi hanno insistito e ce l’hanno fatta. I più piccoli, di 3, 4 e 5 anni, mi raccontano di quando hanno imparato ad andare in bicicletta, o quando hanno imparato a nuotare. “Io ho imparato ad affrontare la paura delle meduse”, “io con l’aiuto della mamma e del papà ho imparato a mettermi le scarpe da solo!”. Qualcuno, della primaria, mi racconta anche di esperienze non vinte, non ancora perlomeno… “Io nello studio sono ancora qui, sono qui in fondo alla buca. Non sono ancora riuscito a risalire”, mi dice un bambino di 8-9 anni.
“Beh, ora però ti puoi vedere da un’altra prospettiva – suggerisco io –, se sei in fondo alla buca vuol dire che hai iniziato il tuo percorso: sei nel punto giusto per iniziare a imparare a studiare!”

La nostra scuola ideale:
Con un paio di gruppi dei ragazzi più grandi, la nostra discussione sull’apprendimento e sulle loro esperienze scolastiche prende a un certo punto un’altra direzione. Spronata dai loro racconti, chiedo loro di immaginarsi docenti della loro scuola ideale. “Che cosa c’è nella vostra scuola ideale e cosa no?”. La domanda li motiva, si mettono a piccoli gruppi e insieme stilano elenchi di quello che immaginano essere la scuola su misura per loro.

Il nostro tempo è finito. Dai bambini dell’infanzia ai ragazzi, tutti hanno partecipato, raccontando di loro e confrontandosi con i compagni. Per più di un’ora ogni gruppo è stato lì con me a parlare e ragionare insieme. Ci salutiamo con un applauso: ci rivedremo la settimana prossima con un’altra domanda, un altro tema da indagare insieme.
Link: https://www.auserunipopcremona.it/
[1] https://www.unipd.it/news/imparare-divertendosi-ruolo-chiave-divertimento-migliorare-abilit-cognitive