domenica 17 Luglio, 2022

Questione di tempo

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Film del 2013, scritto e diretto da Richard Curtis.

La storia si apre con Tim, giovane inglese di 21 anni, che viene informato dal padre di possedere, assieme a tutti i membri maschi della loro famiglia, il dono di viaggiare (solo a ritroso) nel tempo, nel tempo da loro effettivamente già vissuto: niente visite a Elena di Troia o possibilità di boicottare un giovane Hitler, per intenderci, ma solo la possibilità di rivivere – e modificare – eventi del proprio passato.

Parliamo di questa pellicola in questa rubrica ‘Fil(m)osofia’ non per la tematica fantascientifica del viaggio nel tempo, questione già molto battuta dalla cinematografia che l’ha affrontata in tutti i suoi paradossi in moltissime pellicole celebri. Questo film sembrerebbe lasciare inesplorato, nelle sue potenzialità (apparentemente) più eclatanti, il tema del viaggio nel tempo: il protagonista non usa il suo potere per diventare più ricco, o famoso, o per modificare drasticamente il corso della propria vita.

Eppure, Tim, guidato dal saggio padre, scopre un risvolto ancor più importante della possibilità di rivivere il proprio vissuto, un risvolto che forse inizialmente non farà venire i brividi agli appassionati di fantascienza, ma che – a ben guardare – ci dovrebbe riguardare tutti. Tim impara ad apprezzare il proprio tempo.

Quello che viene stravolto nella sua vita è lo sguardo con cui guarda alle cose, la prospettiva: non grandi eventi o straordinari successi definiscono chi siamo, ma le piccole cose del nostro quotidiano. A cambiare prospettiva, queste ‘piccole’ cose sono poi le più preziose e quelle che non vorremmo scoprire di non avere nelle nostre vite: gli affetti, l’amore (tra partner e tra genitori e figli), l’amicizia, la gentilezza.

Tim prova a rivivere due volte la stessa, normalissima, giornata. Mentre la prima volta si fa travolgere dalle ansie, arrabbiature, stanchezze e brutture che quotidianamente ci consumano, la seconda volta riesce ad apprezzarne la bellezza, anche nei piccoli gesti (il sorriso di una commessa, la possibilità di condividere con colleghi difficoltà e successi), e a non dare per scontato quanto di meraviglioso si ha (una moglie innamorata, dei figli, o una casa, per quanto incasinata).

Viene alla mente l’insegnamento di Epicuro. L’antico filosofo greco, in una celebre Lettera sulla felicità (o a Meneceo), ci invita ad apprezzare il nostro tempo, a godercelo appieno, senza farci travolgere dall’ansia progettuale per il futuro, perché volenti o nolenti il futuro non è in nostro potere, o quantomeno non lo è quanto vorremmo. Dalla filosofia epicurea i latini trarranno la celebre formula Carpe diem(diventata anch’essa topos frequentato dalla cinematografia): un ‘cogli l’attimo’ che non è da intendersi esclusivamente e riduttivamente come un ‘non sprecare le occasioni’, quanto come un godi appieno del presente.

Il tempo che ci è dato è finito, anche per i protagonisti di questo film che non potranno fuggire la morte, ma Tim si trasformerà nel perfetto epicureo: saprà apprezzare i piaceri importanti e rifuggire da quelli inutili o addirittura dannosi,

«Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce.» (Epicuro, Lettera sulla felicità)

Tim non avrà, infine, neppure più bisogno di ricorrere al suo straordinario potere: avendo imparato a vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, apprezzandone i dettagli, e avendo acquisito consapevolezza di ciò che conta per lui, non ha più interesse a rifare le cose, o a modificarle. Ha, semplicemente e banalmente, trovato la sua ricetta per la felicità. E se non è un risvolto eclatante questo?!

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