Di Paolo Genovese (2017). Un bar ristorante, The Place, che dà il nome alla pellicola. Un signore, lì seduto, da mattina a sera, sempre allo stesso posto, attende i suoi interlocutori. Otto avventori, otto persone comuni, che si avvicendano, si rivolgono al signore misterioso e avanzano richieste. Hanno desideri, desideri profondi anche quando travestiti da richieste superficiali. Hanno piena fiducia nel fatto che l’uomo li possa esaudire. In cambio, però, lui chiede loro di fare qualcosa: consulta un’agenda nera che tiene stretta a sé e legge il compito che il malcapitato deve assolvere per vedersi esaudire il proprio desiderio. E così, noi spettatori, seguiamo le vicende di queste persone, dei loro dubbi, delle loro scelte, delle conseguenze delle loro azioni.

Cosa saresti disposto a fare pur di realizzare ciò che più desideri?
Questa la domanda che il film ci chiama a rispondere. Fossimo noi al di là di quel tavolo, che cosa chiederemmo? Accetteremmo il patto con… chi? Il diavolo? Un suo emissario? Non si sa… il film non ce lo spiega, lascia solo intuire. Ma in fondo non è nemmeno importante capire chi sia davvero il misterioso personaggio interpretato da Mastandrea, quello che conta è capire qualcosa di noi.
Sì, perché, questo film, girato tutto al chiuso di un’unica stanza, eppure avvincente perché lo sono le scelte delle persone che vi incontriamo, ci accompagna alla – forse tragica – scoperta di noi stessi: siamo sicuri che non faremmo anche noi cose terribili pur di evitare un dolore tremendo, come la perdita di un figlio o della persona amata? Giungeremmo a fare del male ad altri per risparmiare dolore ai nostri cari? E per giungere alla nostra personale felicità, cosa saremmo disposti a fare?
The Place ci obbliga anche a riflettere sulla natura contorta del desiderio e della felicità, meta promessa di quel desiderio. Siamo davvero sicuri che, una volta ottenuto ciò che desideriamo, saremo felici?
I protagonisti si spingono molto lontano in questa partita a scacchi con il diavolo tentatore, o forse solo con se stessi, stupendosi loro per primi nello scoprire fino a che punto potrebbero arrivare. Le conseguenze, per tutti, sono inaspettate. Perché succede qualcosa: le azioni che compiamo ci toccano nel profondo, ci portano a essere persone diverse da ciò che eravamo. E così, qualcuno, si arresta prima che la propria azione lo porti a non riconoscersi più – “non sarei più io” – altri in fondo ci sono andati e ne sono usciti con una nuova consapevolezza di se stessi. Forse, hanno capito, ciò di cui hanno veramente bisogno è altro da ciò che desiderano.

Non ci resta che scegliere: scegliere cosa fare, scegliere chi vogliamo essere, scegliere cosa desiderare. L’uomo dalla misteriosa agenda lo ripete in continuazione: non siete obbligati a rispettare l’accordo, potete sempre scegliere di rinunciare. Un invito a esercitare la nostra autonomia di agenti morali che trova nel finale la propria apoteosi: forse che anche il diavolo, se stanco del proprio mestiere, possa scegliere di smettere?