Laboratori di filosofia con i bambini, presso i centri estivi di AuserUnipop di Cremona a Malagnino e Bonemerse.
Abbiamo usato come provocazione di pensieri il bellissimo album illustrato “Un pesce è un pesce”, di Leo Lionni, e poi vi abbiamo ragionato insieme. Ecco com’è andata!

Primo gruppo, Malagnino (1-3 elementare)
Ci sediamo nel prato, all’ombra, mi presento e chiedo ai bambini di dirmi i loro nomi. Li imparo e loro si mostrano contenti quando vedono che li chiamo per nome, uno a uno. Chiedo loro se sapessero cosa avremmo fatto. “Filosofia”, risponde qualcuno.
“e sapete dirmi cosa sia la filosofia? Questa parola un po’ difficile…”
“io non so bene cosa sia, ma credo abbia a che fare con le domande”.
Mi sorprendo un poco di questa risposta così semplice e pure così accurata. Spiego loro che sì la filosofia prende avvio da tante domande e che oggi saremo noi, insieme, a scegliere quali porci e provare a rispondervi. Da qui partiamo per la nostra avventura.

Mentre sfoglio l’album i bambini si mostrano molto divertiti dagli splendidi disegni. La rana racconta all’amico pesce di aver visto cose meravigliose per il mondo, uccelli, mucche, persone. Ed ecco che il pesce immagina nella propria mente tutte queste cose, secondo le descrizioni della rana. I bambini sono molto divertiti dalle illustrazioni.
“Ma immagina tutto a forma di pesce!”
“Come mai secondo voi?”
“Perché lui è un pesce”
“Perché lui ha sempre e solo visto pesci”
“Non conosce quelle cose, non le ha mai viste, quindi se le immagina simili a come è lui”
Parte una discussione sulla natura della conoscenza e il ruolo dell’immaginazione. Viene fuori che, secondo loro, l’immaginazione lavora così: combina liberamente pezzetti di cose che si conoscono per farsi idee di qualcosa che ancora non si conosce. Di nuovo mi sorprendo a fare epistemologia con bambini di 7-9 anni.
Mi viene anche detto che il pesce era triste di non poter uscire dallo stagno, perché non avrebbe potuto conoscere nulla di nuovo, e “conoscere cose nuove è bello”. Tutti si dichiarano d’accordo.
Continuiamo a dialogare e finiamo anche a parlare di amicizia. La storia ci racconta dell’amicizia di una rana e un pesce, amicizia che a un certo punto sembra interrompersi, quando il girino scopre di essere una rana e se ne va dallo stagno, per poi ritrovarsi a distanza di tempo. I bambini sono sicuri: un amico, una volta fatto, è per sempre! Provo a chiedere loro di aiutarmi a capire cosa sia un amico, queste alcune delle risposte che ricordo:
“Un amico gioca con te”
“Per me un amico non è solo qualcuno che gioca con te, ma è una persona che si prende cura di te”
“Sì un amico ti vuole bene”
“Anche per me, un amico deve essere gentile, educato con te, ti tratta bene, altrimenti non è un vero amico”
“O forse a volte può anche fare il prepotente e comportarsi male, però poi quand’è da solo ci ripensa e gli dispiace”.
Lascio che i bambini si confrontino tra loro, esprimano il loro disaccordo o accordo. Infine, esprimo la considerazione che la rana e il pesce sono molto diversi tra loro, eppure sono amici, ma i bambini non sembrano stupirsi della cosa. Rispondono a questa mia osservazione dicendo che è normale: l’amicizia è tra persone diverse (“lui ha i capelli ricci e io no”, “lui è più grande di me”), ciò che conta è il volersi bene.
Chiedo allora in cosa sono diversi una rana da un pesce, e mi viene subito detto:
“Una rana può saltare, il pesce nuota”.
“Vivono in posti diversi, la rana vive fuori dall’acqua, il pesce non può”.
Mi domando se la differenza che c’è tra rana e pesce è simile a quella che c’è tra bambini e adulti. Ci pensano un po’, poi:
“Anche bambini e adulti fanno cose diverse. Noi bambini facciamo molte cose che gli adulti non fanno”.
Qui l’entusiasmo si accende e parte un elenco di cose meravigliose che i bambini fanno e gli adulti no: correre, nascondersi in posti anche piccolini, giocare, fare i tuffi! “Però mio papà li fa i tuffi”. Ammetto che mi sarei aspettata che la distinzione bambini/adulti venisse tratteggiata nella direzione opposta, con una serie di recriminazioni su cosa i grandi possono fare che a loro è ancora precluso, e invece i bambini sorprendono sempre i pregiudizi degli adulti: sono loro a poter fare molte più cose, sono loro ad essere più liberi!
Infine, notano una differenza importante che distingue le coppie rana/pesce e bambini/adulti: una rana non potrà mai diventare un pesce, mentre un bambino diventerà adulto!
La conversazione prosegue per quasi quaranta minuti, i bambini dialogano con me e tra di loro, si ascoltano, aggiungono l’uno qualcosa a quanto detto dall’altro. Qualcuno interviene di più, qualcun altro preferisce ascoltare, ma tutti si mostrano partecipi. È incredibile visto che è la prima volta che facciamo il dialogo filosofico insieme.
Finiamo dicendoci come è andata: i bambini mi dicono essersi divertiti, gli è piaciuto parlare, così. Faccio loro i miei complimenti: hanno tirato fuori tantissime domande e ancora più idee per rispondere a queste domande, hanno lavorato insieme per trovare le risposte che più li convincevano. Hanno fatto filosofia!
Una bambina, che era intervenuta poco rispetto ai compagni, mi dice “Io ho preferito ascoltare, ascoltare mi piace”. Anche ascoltare gli altri è difficile, la rassicuro, a volte è più difficile che parlare. Mi sorride.
Secondo gruppo, Bonemerse (3-4 elementare)
Anche qui, prima di iniziare ci presentiamo. Chiedo loro cosa si aspettassero da questa esperienza e se sapessero cosa volesse dire “fare filosofia”. Parte immediatamente una discussione sulle idee.
“le idee le hai nel cervello”
“quando pensi a qualcosa ti vengono le idee”
“noi bambini abbiamo sempre tantissime idee”
“io a volte non le ho”
“non è possibile, prova a non pensare!” suggerisce una bambina. E tutti si concentrano moltissimo a provare a non pensare. Qualcuno si stupisce “io non ci riesco a non pensare”; “io non ce la faccio qui, ho bisogno di silenzio”; “guarda io ci riesco!”, dice un bambino bloccandosi immobile con tutte le sue forze. “Ma no, tu stai solo trattenendo il fiato, quello non è non pensare!” Il bambino scoppia a ridere, ridiamo tutti.
Mi viene in mente che nella mia borsa avevo il libro di Hervé Tullet, “Un’idea”. Glielo mostro. Gli spiego che questo artista ha provato a disegnare un’idea.
“ È difficile, come si fa? Se penso a un’idea ce l’hai in mente, ma poi appena provi a disegnarla… fugge via… non riesci”.
“ È vero! Io sono d’accordo con M. L’idea sai cos’è, ma non puoi disegnarla”.
“Sì invece! Io ho l’idea di fare una festa, ad esempio, allora disegno la festa”.
Provo a spiegare che forse la cosa difficile non è disegnare un’idea specifica, l’idea di qualcosa, ma il concetto di idea in generale: l’idea di idea. Ci pensiamo insieme ancora un po’, e decidono che poi ci avrebbero provato per vedere se vi fossero riusciti oppure no.

Passo dunque alla lettura della storia. Propongo la stessa storia, ma stavolta la conversazione prende tutta un’altra direzione. Questo è un aspetto sempre sorprendente della pratica: è imprevedibile, lo stesso stimolo non produrrà mai la stessa conversazione, sono sempre i bambini, il singolo gruppo, a determinare la direzione della ricerca sulla base delle loro urgenze, delle loro domande.
Iniziamo subito a parlare del fatto che il pesce volesse essere come la rana. Chiedo ai bambini se anche a loro capita di desiderare di essere qualcosa che non sono, se desiderano qualche potere che non hanno.
“Io vorrei essere un uccello, per poter volare”
“Io come gli scoiattoli, per potermi arrampicare”
“A me piacerebbe essere una formica”. “Una formica?” – chiedo io non riuscendo a coglierne il fascino forse. “Perché così tutte le cose mi sembrerebbero grandissime”.
“Io vorrei essere un gatto, perché al gatto si fanno tantissime coccole”. La discussione procede, man mano i bambini si dichiarano d’accordo o meno con i compagni.
“A me piacerebbe avere il potere di sparire”. Anche questo desiderio sembra piacere a molti. “Anche a me! Perché così se anche combini un guaio nessuno sa che sei stato tu”.
“o viaggiare nel tempo. Tornare indietro, che se hai fatto un pasticcio non lo fai più!”.
“Io ho trovato un altro potere che mi piacerebbe avere! Mi piacerebbe poter sapere cosa provano gli altri”. Questo incuriosisce tutti. Lo approfondiamo. Per qualcuno sarebbe effettivamente un gran potere, capire gli altri, cosa provano o addirittura cosa pensano. Una bambina però avanza un’obiezione:
“a me non piacerebbe, perché magari l’altro non ha piacere che io sappia cosa sente e quindi preferisco non saperlo. Se vuole me lo dice lui”.
Ragioniamo anche di questo, l’osservazione della bambina ha insinuato in tutti il dubbio che forse leggere nella mente degli altri non sia ‘giusto’, non sia rispettoso dei loro desideri.
Provo poi a dare una diversa direzione al nostro ragionamento. Mi hanno detto cosa desidererebbero essere che non sono o quali poteri vorrebbero avere; ora chiedo loro di dirmi cosa invece gli piace di loro stessi, di ciò che già sono. La domanda è difficile, inizialmente i bambini mi elencano cose che sono felici di avere: “il mio cane, “la mia famiglia”, “io sono contenta di avere la mia mamma, il mio papà e vabbè, pure mia sorella”. Ci ritento, spiego loro che mi piacerebbe provassero a pensare a qualcosa della loro persona, cosa gli piace di loro stessi, di quello che sono.
Una bambina coglie per prima, mi dice che le piace il fatto di essere divertente. “Anch’io!”, “si anch’io faccio ridere!”.
“A me piace il fatto di essere brava a fare ginnastica artistica”.
“Io credo di essere gentile”.
Una bambina a questo punto mi dice: “e tu? Cosa ti piace di te?”. “Sì non ci hai detto anche del super potere che vorresti avere”. Mi fanno piacere queste domande, le trovo segno del fatto che mi percepiscono come parte del gruppo, non come l’insegnante che è al di fuori del gioco, che lo guida senza prendervi parte davvero. Rispondo, dico loro che anch’io avrei forse scelto il potere dell’invisibilità, ma che ora forse aggiungerei anche il desiderio di conoscere le emozioni (non i pensieri) degli altri. Dico cosa mi piace di me: mi piace che generalmente vado d’accordo con le persone senza litigare. Interviene anche l’altra educatrice e condivide le sue risposte. Si crea un bellissimo clima, insieme scambiamo opinioni. I bambini commentano, dicono la loro.
Verso la fine chiedo loro cosa volesse dire la frase “un pesce è un pesce” ripetuta a inizio e fine della storia. E questa volta i bambini, forse perché di qualche anno più grandi del primo gruppo, mostrano di aver colto appieno il messaggio. Non è solo una questione di differenza tra rana e pesce (“una rana è una rana e un pesce è un pesce”), il pesce alla fine della storia ha capito chi è lui e ne è contento (avevi ragione – dirà alla rana – un pesce è un pesce).
“Per me lui era un po’ triste di non essere una rana”, suggerisce un bambino.
“No, io credo invece che alla fine era contento. Ha capito che il suo stagno era bellissimo e che gli piaceva stare lì.”
“Sì, anch’io sono d’accordo con lui! Ha capito che non aveva bisogno di andare fuori dallo stagno per conoscere cose nuove”.
“Sì non desiderava più essere altro”.
Chiudiamo la conversazione dopo quasi un’ora. Un’ora di dialogo serrato, i bambini non mostrano ancora segni di stanchezza, ma decido comunque di avviarmi alla conclusione.
Chiedo loro, come sempre, se gli fosse piaciuta l’attività e di provare a spiegare il perchè.
“A me è piaciuto moltissimo, perché abbiamo parlato tanto”.
“Sì, abbiamo parlato di noi, non lo facciamo mai”.
“Io ho imparato tante cose”.
“A me è piaciuto perché ho capito cosa pensano gli altri. Mi piace sentire quello che pensano gli altri”.
“Io ho un’altra risposta! A me è piaciuto anche capire cosa volessi essere, che cosa voglio diventare”.
Inutile aggiungere che queste risposte mi hanno sorpresa, sembrano corrispondere ai principali obbiettivi formativi che chi propone questa pratica vuole raggiungere: l’esercizio di un dialogo costruttivo, la promozione dell’ascolto dell’altro e della consapevolezza di sé. Ma questa volta non sono le risposte da manuale, sono le risposte spontanee date dagli stessi bambini al termine di una prima esperienza di dialogo filosofico.